“Spacca-Italia”, “Legge-Arlecchino”, “Secessione dei ricchi”: sono solo alcuni modi con cui le opposizioni hanno rinominato la Legge Calderoli sull’autonomia differenziata e per la quale sono state raccolte oltre un milione di firme, in appena due mesi, che verranno consegnate in Cassazione oggi 26 settembre, a favore di un referendum abrogativo di questa.
Grazie a questo primo piccolo grande passo, si è aperta quella che il sindacato CGIL chiama “Fase 2” della mobilitazione, per rendere sempre più chiara la portata dei rischi economici e sociali che tale legge può portare al nostro Paese e spingere le persone ad andare al voto.
Si muove proprio su questa linea l’incontro promosso da CGIL il 25 settembre presso la Sala del Consiglio Provinciale di Perugia, a cui il PD di Bastia Umbra ha partecipato e in cui sono intervenute figure competenti provenienti dalla società civile e dal mondo politico come l’attuale Presidente della Provincia e candidata della Coalizione Progressista alle elezioni regionali, Stefania Proietti.
Per comprendere appieno il contesto politico in cui questa legge vuole innestarsi, occorre dapprima fare un breve excursus storico.
Negli anni ’80 e ‘90 emersero in alcune Regioni soprattutto del Nord forti movimenti autonomisti (es: Lega Nord, Liga Veneta etc.), ponendo al centro il tema secondo cui alle Regioni settentrionali erano tolte risorse per trasferirle alle Regioni meridionali e si additava lo stato centrale di pensare e agire con strumenti economici e di welfare solo nei confronti del Sud. Si celava in questo modo la realtà oggettiva dei fatti: il Nord produttivo (favorito anche dalla vicinanza con i mercati internazionali e da migliori condizioni orografiche) vendeva beni e servizi al Sud arretrato, ricevendone in cambio ingenti trasferimenti di risorse.
Si giunse comunque, alla fine degli anni ’90, all’elezione diretta del Presidenti regionali, che in questo modo godono di maggiore legittimità e autonomia, fino ad arrivare alla revisione del Titolo V del 2001 per rispondere alle istanze dei movimenti autonomistici, cercando di esaltare il ruolo delle Regioni che acquisiscono così maggiori competenze per quanto concerne le c.d. “materie concorrenti”(art.117 comma 3).
Con la legge di bilancio 2023 allora, si da il via all’attuazione dell’autonomia differenziata, usando come indicatori i LEP (livelli essenziali delle prestazioni)che riguardando le materie concorrenti e il quale finanziamento va a favorire le regioni più abbienti e cioè con un residuo fiscale ( spesa – gettito fiscale)negativo.
Inoltre, ancora oggi manca una definizione dei LEP che vanno a configurarsi come uno strumento politico più che tecnico dal momento che nella realtà dei fatti non sono decisi dalla legge dello Stato ma da decreti del Presidente del Consiglio e non vanno a definire le materie residuali ma quelle concorrenti che comprendono sanità, istruzione, tutela ambientale e culturale, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, politiche energetiche, etc.
Alla luce di ciò, è facile comprendere come si vada sempre più verso un modello regionale non solidaristico, collaborativo e plurale bensì verso un modello competitivo, con una legge fortemente in contrasto con il nostro modello regionale che mira all’uguaglianza ma che renderà de facto, il nostro Paese una Repubblica Federale e ciò come sottolineato da Zupi, rappresentate Anpi, genera non poche perplessità riguardo la costituzionalità di questa legge voluta fortemente da “coloro che sono contro gli ideali che hanno portato alla costruzione della nostra Costituzione e da un governo che rappresenta il solo il 30% dei votanti e che vuole smantellare la Costituzione che è di tutti”.
Inoltre, viola l’art.81 della Costituzione che assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio dello Stato che a detta dello stesso Calderoli “non è in grado di quantificare gli impatti economici di questa legge”.
Andando nel dettaglio pratico, possiamo vedere gli effetti e i rischi reali ed effettivi della legge sull’autonomia differenziata come spiegato anche da CGIL:
Divide il paese: L’autonomia differenziata spacca l’Italia in tante piccole patrie (si rischiano 21 modelli diversi!), condannando il Paese all’irrilevanza politica ed economica, anche a livello europeo. E questo non è un problema solo del Mezzogiorno, ma anche del sistema produttivo del centro-nord.
Impoverisce il lavoro: mette in discussione il contratto collettivo nazionale, che rappresenta un pilastro dell’unità e della coesione del Paese, per rispolverare le gabbie salariali che determinerebbero un ulteriore impoverimento dei salari.
Colpisce la sicurezza: regionalizza e frammenta la legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alimentando una competizione territoriale al ribasso sulla pelle di lavoratrici e lavoratori.
Smantella l’istruzione pubblica: regionalizzando la scuola, infligge un colpo mortale alla stessa identità culturale dell’Italia, differenziando anche i piani di studio.
Privatizza la sanità: compromette definitivamente il servizio sanitario nazionale così il diritto alla salute sarà riservato a chi potrà permetterselo, si favorirà un “turismo sanitario” e le regioni saranno ancor più libere di accelerare il processo di privatizzazione in atto.
Demolisce il welfare universalistico: lasciando il “residuo fiscale” alle regioni più ricche, priva il welfare pubblico e universalistico di risorse fondamentali per garantire i diritti sociali a tutte le cittadine e i cittadini.
Frena lo sviluppo: sottrae totalmente allo stato la competenza su materie strategiche: politiche energetiche; reti e infrastrutture; telecomunicazioni; porti e aeroporti; trasporti; ricerca scientifica; ambiente; cultura; rapporti con l’UE; commercio con l’estero; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; etc., pregiudicando le prospettive dell’intero sistema economico nazionale.
Frammenta le politiche ambientali: Rendendo impossibile un efficace contrasto al cambiamento climatico e la conversione ecologica del nostro sistema produttivo.
Per tutti questi motivi, se vogliamo un’Italia unita, libera e giusta non possiamo esimerci dall’andare a votare contro una legge e un governo che ci vogliono divisi economicamente e socialmente nella nostra storia, nella nostra cultura e nella nostra identità. C’è chi ha fatto della Patria uno slogan elettorale e chi invece la intende come un valore fondamentale di unità, collaborazione e pluralità.
26/09/2024
Segreteria PD Bastia Umbra