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Bastia Umbra Editoriale

Cambiamento culturale come nuova identità

Editoriale del 20/11/2025

CAMBIAMENTO CULTURALE COME NUOVA IDENTITÀ

 

Le installazioni artistiche ospitate nel centro storico di Bastia Umbra nell’ambito dell’iniziativa “Dall’abbandono all’opera” hanno riportato l’attenzione su un tema che va oltre l’arte: il cambiamento culturale come possibilità di una nuova identità collettiva.

In fondo, queste esperienze ci riportano a una domanda che oggi attraversa molte città, e che riguarda anche noi: che cosa può la critica – e più in generale la Cultura – di fronte al futuro? È una domanda semplice solo in apparenza, che resta sullo sfondo mentre osserviamo come gli eventi culturali prendono forma e come la comunità vi si riconosce.

Spesso, quando parliamo di arte contemporanea, ci perdiamo nella pluralità dei linguaggi e nelle differenze che sembrano allontanare più che unire. In questo caso è accaduto il contrario: la manifestazione ha saputo intercettare un’energia nuova, giovane, diffusa, capace di tradursi in un’esperienza condivisa. Un piccolo organismo urbano fatto di supporti semplici, contesti di vita quotidiana, idee immediate, lontano dalle grandi messe in scena e dalle estetiche spettacolari.

Negli ultimi vent’anni la vita culturale di Bastia ha attraversato fasi molto diverse, spesso influenzate dalla disponibilità di risorse economiche e da priorità amministrative mutevoli. Ci sono stati momenti in cui, pur con mezzi limitati, sono nate proposte significative grazie al lavoro congiunto dell’amministrazione e delle realtà del territorio. In altri periodi, anche con risorse più consistenti, la programmazione ha seguito percorsi meno distinti, rispecchiando un contesto cittadino che faticava a definire una direzione culturale comune e duratura. È un percorso articolato, che non riguarda responsabilità individuali, ma il modo in cui la comunità, nel suo insieme, ha interpretato e ridefinito nel tempo il valore della Cultura.

A questo si aggiunge una trasformazione più generale. La globalizzazione ha uniformato linguaggi e immaginari, incidendo anche sui luoghi simbolici. Emblematico, in questo senso, è il destino della Casa evolutiva, l’edificio che prese avvio da un progetto di Renzo Piano e che, pur rielaborato in fase realizzativa al punto da essere poi ‘dissociato’ dall’architetto, conserva un valore riconoscibile, soprattutto se letto nel clima sperimentale degli anni in cui venne costruito, il 1978. Oggi la vediamo abbandonata, ma non per questo meno significativa. È un segno del nostro tempo e della difficoltà nel custodire ciò che appartiene comunque alla storia architettonica della città, tra cui anche l’architettura spontanea e minore.

È in questo quadro che l’iniziativa “Dall’abbandono all’opera” assume un significato ulteriore. Non è solo un evento espositivo, ma un’occasione per rimettere in moto un dialogo collettivo, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni in una forma d’arte che diventa esperienza comune, partecipazione, relazione. Come ricorda Jeremy Rifkin, il valore dell’arte contemporanea non risiede più nell’opera da possedere, ma nell’esperienza condivisa, nel tempo breve dell’incontro, dell’effimero. Ed è proprio questo passaggio che ci chiede di ripensare il ruolo della critica, dell’amministrazione, della scuola, dei cittadini.

E allora, tornando alla domanda iniziale, che cosa può la critica – e più in generale la Cultura – di fronte al futuro?

Forse può ciò che dovrebbero poter fare anche la Politica e la Scuola: riconoscere il presente senza nostalgia, accettare il cambiamento, leggere i bisogni reali della comunità e accompagnarne l’evoluzione.

Solo se sapremo farci carico di questa trasformazione – senza paura e senza illusioni – potremo costruire una nuova identità culturale, più consapevole e davvero nostra. E questo implica guardare al passato senza indulgere nella nostalgia. Serve invece una conoscenza critica e consapevole della nostra storia, capace di riconoscerne le fragilità e le svolte mancate. Solo da questa lucidità può nascere un’identità culturalmente nuova, che non deriva dall’abbandono né dal rimpianto, ma dalla capacità di trasformare la memoria in una risorsa per il futuro.

 

 

Di Claudia Lucia – Redazione Terrenostre
(© Riproduzione riservata)

 

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