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Leggendo ciò che accade nei Paesi asiatici si ha l’impressione che tutto vada veloce e con facilità: aeroporti, autostrade, ponti, grattacieli, università, intere città modernissime che vengono disegnate da grandi architetti, servizi e amministrazione pubblica efficienti. In Europa le cose vanno lente, e in Italia, sembra che tutto sia fermo; ci trasciniamo stancamente, tiriamo a campare. Le istituzioni ingabbiate dalle regole faticano a muoversi. La nostra cultura improntata più sul mantenimento dello status quo, che sul nuovismo, sul cambiamento, sulla professionalità non riesce a progredire. Molti dicono, persino con orgoglio, che l’Italia è fatta così: ha la migliore storia, che non sta affatto valorizzando; ha la migliore Giustizia, che sta deprimendo; ha le migliori genialità, peccato che lavorino in gran parte all’estero; ha le migliori aziende del mondo, quasi tutte comprate da mani straniere; e potremmo continuare ancora. Molti altri dicono che avviene così perché in altri Stati e specialmente nei territori asiatici ci sono spazi vuoti, dove c’è bisogno di ogni cosa e si può costruire come vuoi e dove vuoi. Lo stesso vale per aprire qualsiasi attività.
Da noi, anche quando dovrebbe essere tutto facile, sorgono sempre incredibili difficoltà persino per collegare un apparecchio ad una presa di corrente. Siamo fatti così. A tanti dirigenti pubblici piace scrivere che inserire una spina in una presa di corrente è competenza di un tecnico. Per non parlare della scuola che non riesce a sfornare giovani competenti, ma appena si cerca di aumentare il tasso di studio spuntano subito fuori genitori, politici e associazioni che rivendicano un istruzione semplice, con pochi compiti a casa e senza bocciare nessuno. Tant’è che nessun genitore si lamenta dell’ignoranza del proprio figlio e delle attrezzature tecnologiche che mancano. Persino gli insegnanti vengono mortificati con stipendi simili ai bidelli.
In Europa tutti vanno meglio dell’Italia; nei Paesi asiatici lo sviluppo è diventato impetuoso solo dopo le rivoluzioni. Adesso si viaggia con un Pil del più 10% all’anno.
In Italia, oggi, chi vuol realizzare qualcosa, una scuola privata, un’impresa o anche solo un negozio, incontra un mare di impedimenti burocratici, permessi, visti da ministeri, regioni, enti locali, commissioni, ostacoli personali di dirigenti burocrati a non finire. Il «nuovo o progresso» nel nostro Paese nasce solo se una persona decide di dedicargli sè stessa. Vi lavora senza sosta e non si distrae mai. Cerca i finanziamenti, i permessi, e se scopre che ne manca qualcuno, dorme poco e non si scoraggia. Cerca nuove strade, inventa, crea. Riesce solo con la caparbietà, trascinando talvolta a forza i suoi collaboratori, rischiando che se vedrà qualche lucina alla fine del tunnel, potrebbe arrivare qualche furbone per depredare o solerte dirigente per bloccare.
Ecco perché non progrediamo.
I veri innovatori, i veri imprenditori, i veri costruttori, i veri artisti devono condurre lotte estenuanti per riuscire. Aiutiamoli invece di ignorarli e chissà che molti nostri giovani non andranno più a lavorare all’estero come hanno fatto i nostri nonni. (Francesco Brufani)